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Buona la scuola se in Libera Scelta

Condividiamo il video realizzato dall’Associazione Mariapaola Albertario che racconta il sistema scolastico in 5 minuti per diffondere il principio fondamentale della libertà di scelta educativa.

 

Da anni questa posizione resta la medesima e non arretra di un millimetro
– Dal 1948 ad oggi si è assistito alla discriminazione degli allievi, figli di famiglie che, volendo caparbiamente esercitare il diritto alla libertà di scelta educativa, che fa parte dei Diritti Umani, hanno affermato questa libertà indirizzandosi verso la scuola pubblica paritaria. Discriminazione che appare feroce verso i figli dei poveri, che non possono scegliere.
– E’ proprio la nostra Repubblica che ha riconosciuto loro questo diritto all’Art. 3 della Cost., in un pluralismo educativo all’art. 33; l’Europa, con le Risoluzioni del 1984 e del 2012 lo ha espressamente richiesto; la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo rivendica la libertà di scelta educativa sia per l’individuo che per la famiglia.
– La libertà di scelta educativa può esercitarsi solo ed unicamente in un pluralismo educativo come sancito dalla Costituzione italiana all’art. 33 e all’art. 118 “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Dunque, mentre è stato chiarito che publicum est pro populo, si è evidenziato che pubblico è ciò che è fatto per l’interesse pubblico, quindi non implica necessariamente e solo la gestione statale.

L’Italia: Stato membro dell’UE ma anche fanalino di coda
L’Italia risulta la più grave eccezione in Europa poiché ha impedito alla famiglia italiana di esercitare la propria responsabilità educativa in un pluralismo educativo. Infatti con l’approvazione della Legge 62/2000 non si è concluso il percorso legislativo voluto dai Costituenti con l’art. 33, commi 3 e 4 relativi alla parità scolastica, poichè è mancato il passaggio più naturale e doveroso: un diritto senza applicazione è un falso. Se non un inganno. Da qui la necessaria azione culturale per colmare un gap di pensiero che ha alimentato letture ideologiche e lontane dalla realtà e per riportare l’attenzione al cuore della quaestio: superare il vincolo economico. Difatti non è secondario, nella disamina dei diversi aspetti connessi alla parità scolastica, il tema delle modalità di assegnazione delle risorse finanziarie che il legislatore negli Stati europei, a più riprese, ha previsto per le scuole paritarie, per sostenere lo svolgimento del loro compito formativo pubblico. Le scuole gestite privatamente ricevono finanziamenti pubblici da governo, enti dipartimentali, locali, regionali, statali e nazionali, che coprono più dell’80% dei costi annuali, in Belgio, Finlandia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Slovacca, Slovenia, Svezia, Ungheria. Particolarmente in Finlandia, Paesi Bassi e Svezia il finanziamento è pressoché totale. Copre più del 60% dei costi in Danimarca, Estonia, Repubblica Ceca, Spagna; più del 40% in Polonia, Portogallo, Svizzera. È invece inferiore al 40% in Italia, al 20% in Grecia. Dalla realtà Europea emerge un quadro più oggettivo rispetto alle frequenti battaglie ideologiche che hanno caratterizzato e di fatto penalizzato gli studenti italiani: la spesa pubblica per le istituzioni private è inferiore del 70% rispetto alla media OCSE e UE e con interventi che gravano per lo più sui genitori. Al riguardo, è necessaria una “rivoluzione copernicana”, che metta al centro lo studente e il cui cambiamento di prospettiva si veda concretamente anche in politiche non più emergenziali ed ideologiche: la soluzione è da sempre l’individuazione del costo standard. 

fonte: non profit online

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