- – Da dove vieni?
- – Ho fatto il giro delle sette chiese.
- – Sette Messe?
- – A vedere i presepi. Tutti gli anni, sai, mi piace ammirare lalaboriosità dei presepisti.
- – Ma non ci son più i presepi di una volta.
- – Questo è vero: una volta si vedevano modalità diverse di rappresentare il mistero della nascita di un Dio che si è fatto uomo. E si apprezzavano le suggestioni indovinate dei costruttori, le grotte, le valli, i sentieri, le greggi, i casolari sperduti, il villaggio sulla collina, le mura della città lontana, le torri del castello, il ponticello sul progno, la fontana, il bucato disteso.
- – Beh, ma anche, bisogna dirlo, improbabili abitazioni più sudtirolesi che palestinesi; pescatori con tanto di lenza, amo e pesce al bordo del ruscello di carta stagnola; e donne alla fonte o al lavatoio; arrotino al lavoro e pizzaiolo al forno…
- – Verissimo. Ed è quel che si vede nelle case. Vai a trovare un amico nel periodo natalizio e trovi il presepe in un angolo del salotto o sul mobiletto portascarpe dietro il battente dell’entrata; per terra accanto all’albero.
E ci sono i presepi che si estraggono dal ripostiglio, senza dover allestire nulla, pronti all’uso, basta infilare la spina nella presa, … si accende, si illumina di lucine colorate intermittenti, tremolanti, scorrevoli, lampeggianti. Un mini centro commerciale. - – L’altr’anno, sai, …
- – L’anno scorso?
- – Sì, l’altr’anno, sul motto di papa Francesco: “Non muri, ma ponti”, si vedevano tanti ponti.
- – E quest’anno?
- – Ancora ponti. Sai, il “Morandi…”.
- – In Arena? N’altra volta?
- – No. Il ponte di Genova.
- – Ah! L’anno scorso, ponti.
- – E quest’anno ponti… rotti.
I presepisti non perdono tempo, e colgono l’idea al volo. C’è chi comincia a progettare la costruzione del presepe da prima che cominci l’Avvento. Quando la finalità diventa il motivo per “strabiliare”, si finisce inevitabilmente nella banalità. Si perde il senso del messaggio che con il presepe si vuole trasmettere.
Ci sono presepi che della Natività non dicono nulla, che il Mistero neanche lo rappresentano. A voler enfatizzare l’intuizione, si perde di vista la riproduzione del mistero della Natività. A quel punto il presepe non c’è più. Ci sarà qualcos’altro, anche bello, interessante, geniale, ma non il presepe. Esso non è una costruzione duratura inamovibile, ma un’opera occasionale e provvisoria, che è causata dal ritorno del ciclo liturgico natalizio.
Il presepe estratto dall’armadio, bell’e fatto, che si appoggia in uno spazio ben delimitato e che si avvia con l’interruttore, trasmette un’immagine inutile. Un presepe fatto bene, con passione, attrae la vista, l’interesse, la curiosità per i particolari, per il realismo della costruzione, per la cura della scenografia e dei particolari.
Un autentico, genuino presepio non deve distrarre l’osservatore né con effetti scenici dovuti a una raffinata tecnologia, né con spiccate qualità artistiche, né con linguaggio esoterico, né con simbolismi, né con metafore, né con riferimenti socio-politici.
Riprodurre il mistero della Natività non significa fare dell’estetica e neppure dettare nei fedeli sentimenti religiosi per mezzo di idealizzazioni. Significa, invece, suscitare nell’osservatore un sentimento che gli tolga la veste dell’osservatore che guarda e commenta dall’esterno, per dargli la sensazione di partecipare personalmente alla scena che contempla, per riviverla pienamente in un insieme quanto mai realistico.
Costruire un presepio non è un divertimento, ma un atto di devozione, una preghiera in azione. È perpetuare figurativamente l’offerta dei doni al Bambino divino.
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Tarcisio Verdari per Verona Fedele del 16 dicembre 2018