Pillola #13
Succede spesso, anzi, quasi sempre, che dopo quaranta minuti di intervento rivolto agli operatori (responsabili, animatori e volontari di circolo) sulla necessità di rispettare le norme, la correttezza, la trasparenza e la democraticità, interviene il bastian contrario indignato che se la prende con lo Stato, la Pubblica amministrazione, il Ministero, il Governo, l’Agenzia delle entrate, la Guardia di Finanza, l’agente della SIAE e perfino con la Riforma del Terzo settore, perché “non se ne può più di obblighi e paletti, di incombenze e scadenze, di bilanci e rendiconti, di assemblee, di consigli e di verbali. Noi (intendendo lui o lei e qualche altro) operiamo per fare il bene e lo facciamo da volontari, non possiamo perdere tempo per tutte queste formalità che impediscono di svolgere la nostra mission”.
Ecco. Quando qualcuno se ne esce con queste geremiadi, al sottoscritto parte l’embolo, anche perché, di solito, il malmostoso si rivela pure poco rispettoso di coloro che lo ascoltano, impedendo di farsi interrompere, di fermarsi, di sentire l’opinione degli altri. Si ritiene portatore del “verbo” e si lancia a difesa di una crociata perdente.
Innanzitutto, con il senno di poi, quando si viene a conoscenza delle posizioni e delle storie personali si scopre che tali “ribelli” sostengono tesi e difendono comportamenti poco trasparenti o di collusione con i destinatari del loro volontariato che si trasforma, guarda che caso, in risorse monetarie.
Queste situazioni emergono verso la fine dei miei interventi, quando è raggiunto il punto più alto di condivisione e di comprensione. Tali uscite deflagrano come bombe atomiche producendo voragini difficilmente marginabili negli ultimi cinque minuti dell’incontro. E al sottoscritto tocca ricucire le sbrindellature causate dall’incauto che inevitabilmente subirà la gogna che si merita.
Ora solo il fatto che il menagramo di turno si ritenga unico vero volontario rispetto agli altri che invece si perdono nelle maglie della correttezza, è vergognosamente inaccettabile; che poi con comportamento irriguardoso nei confronti delle norme e delle leggi si ritenga anche vittima delle stesse dovrebbe fargli intuire che forse è il caso che smetta di definirsi volontario o per lo meno smetta di ritenersi cittadino esemplare, e che si dedichi ad altro piuttosto che alla promozione sociale.
Quando uno si definisce volontario e dichiara di non voler rispettare leggi, statuti e regolamenti DEVE smettere di “fare” perché il suo “fare” produce sicuramente danni per qualcun altro.
Il fatto di non pagare imposte dovute significa sottrarre risorse alla sanità, all’assistenza sociale, alla prevenzione destinate a chi è nel bisogno, nella povertà, nell’indigenza. Altro che volontariato, altro che fare il bene, questo è CAOS: Criminalità Associativa Organizzata Spudoratamente.
Definirsi “volontario” per qualificarsi come cittadino esemplare è da imbecilli. Accade spesso di scoprire “volontari pagati” (un ossimoro illuminante), e questo stile piuttosto diffuso nell’ambito cattolico deve far pensare che forse la religione ci è stata trasmessa in modo inadeguato.
Dovere del buon cristiano è fare il bene. Si, d’accordo, ma anche il bene dev’essere fatto bene, non a fantasia personale. Se vogliamo dirla tutta, però, fare il bene è dovere di tutti gli umani, non è principalmente il dovere dei cristiani. Lo scopo della vita dei cristiani è quello di unirsi a Dio perché la sua volontà si compia nella vita. In un cristiano così abitato da Cristo, la morale necessità di fare il bene trova il suo posto naturalmente e in piena libertà. Il cristiano unito a Dio non si chiede se deve fare il bene. Lo fa. Anche se deve sacrificare qualcosa di sé stesso, del suo tempo, della sua vita. Perché nell’altro, negli occhi dell’altro, chiunque sia: bambino, giovane, anziano, il cristiano vede lo sguardo di Dio.
Fare volontariato vuol dire occuparsi e preoccuparsi degli altri. Fare qualcosa, impegnare il proprio tempo, le proprie capacità, il genio e l’estro per rendere gradevole la partecipazione e la presenza delle persone nello spazio del Circolo NOI; intuire attese e pensare risposte, vedere, avvicinare, ascoltare, lenire fatiche e dispiaceri. La vita è difficile, per alcuni è anche grama, la condivisione, anche l’ascolto può diventare un aiuto alla sopportazione, al superamento dello sconforto, a qualche momento di serenità. L’empatia dev’essere lo stile del volontario. Empatia è la capacità di accogliere dentro di sé gli altri. Tutti gli altri, non solo i simpaticoni, gli azzimati, i cervelloni, i raffinati; anche e particolarmente i meno fortunati, i meno dotati, i meno simpatici, i meno eleganti, i meno esposti. Questi ultimi sono anche quelli che hanno minore autostima, che hanno consapevolezza dei propri limiti o delle proprie povertà fisiche, sportive, economiche. Ma forse con maggiori qualità morali e spirituali. Si fanno scoperte!!!
Tornando al tema, quando si fa volontariato per gli altri non si può pretendere di operare senza tener conto degli obblighi, fare il bene non autorizza l’approssimazione, la sconsideratezza, perché l’inosservanza delle regole conduce inconsapevolmente alla criminalità. Non è raro che in organizzazioni di volontari si facciano scoperte terribili: in una indagine recente (giugno 2019) s’è saputo che un ente assistenziale emiliano condiva la pastasciutta con macinato di carne abbondantemente scaduta.
Senza andare tanto lontano, è risaputa la regola secondo la quale nella ristorazione pubblica (comprese le sagre) il condimento avanzato non può essere conservato per il giorno successivo. La proliferazione batterica produce tossine in quantità esponenziale e perniciosa. Eppure, nei corsi HACCP per l’idoneità alla manipolazione e somministrazione di alimenti, quando la docente rammenta questa norma, si vedono occhi sbarrati e mandibole cascanti.
Siamo stufi anche di volontari delinquenti.