Talvolta, qualche parroco che si ritiene più “furbo” di quelli che cercano di non fare i furbi con il fisco, ha mandato a spasso il NOI perché tanto, lui può fare tutto come parrocchia, senza vincoli di burocrazia e tesseramento. I parroci, si sa, cambiano parrocchia ogni po’ di anni, e non purgano mai le conseguenze della loro disinvoltura. A pagare saranno sempre altri: il successore o la comunità. Eccezionale testimonianza di correttezza. Fortunatamente non è sempre così, qualcuno di questi parroci “dinamici e organizzativi” hanno trasformato la licenza del bar della parrocchia da privata a pubblica. Niente associazioni, niente club, la parrocchia accoglie tutti. Che se poi quei “tutti” sono i soliti nullafacenti, ci sarebbe da chiedersi cosa c’entri il bar con la parrocchia, se non a fare cassa. Calano le offerte, cala l’otto per mille, calano i fedeli, ma il bar va’ alla grande.
Dal primo luglio 2019 è entrato in vigore il cosiddetto scontrino elettronico, per gli esercizi commerciali con volume d’affari sopra i 400 mila euro/anno. Dal primo gennaio 2020 stesso obbligo scatta per tutti gli esercizi commerciali. E si da’ il caso che i bar parrocchiali siano esattamente esercizi commerciali aperti a un pubblico indistinto.
Hai voglia a dire che la parrocchia non soggiace alle leggi dello Stato, svolgendo attività di culto e di religione, regolata dal Concordato.
- Il Concordato è una legge dello Stato.
- Le attività diverse da quelle di culto e di religione soggiacciono alla legislazione dello Stato.
- Si fa fatica a considerare il bar parrocchiale attività di culto e di religione solo perché a fine Messa c’è brioche e caffè per tutti.
Non c’è dubbio che la Parrocchia possa legittimamente esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande (bar) ai propri parrocchiani. Come non c’è dubbio alcuno sul fatto che tale attività riveste carattere imprenditoriale, commerciale.
Il Comune rilascia autorizzazione, ma la Parrocchia deve dotarsi di partita IVA, senza immaginare di godere di regimi fiscali agevolativi o tanto meno di esoneri. Il registratore fiscale è obbligatorio fin da quando fu inventato, ma dal 1° gennaio 2020 il registratore fiscale deve essere adeguato alla emissione di scontrino elettronico, con trasferimento giornaliero dei dati di emissione all’Agenzia delle entrate Centrale di Roma. Per i primi sei mesi del 2020 non saranno sanzionati i ritardi fino a un mese, ma dal 1° luglio 2020 le sanzioni avranno livelli da massacro.
L’apertura dell’esercizio non potrà essere incondizionata: dovrà rispettare gli orari delle attività parrocchiali per essere considerata a servizio dei parrocchiani che vi partecipano.
Solo i bar associativi degli enti affiliati a capofila nazionali riconosciuti dal Ministero dell’interno con particolare provvedimento (come NOI Associazione) godono della decommercializzazione di tale attività. Tutti gli altri, compresi gli enti sportivi, le parrocchie, gli istituti, eccetera, molto semplicemente svolgono un’attività che è commerciale; non da oggi, da sempre.
A dirla tutta, ce ne sono anche di bravini: hanno licenza pubblica, hanno il registratore di cassa, si affidano a un commercialista, forse versano anche le imposte.
Il pensiero torna ai Circoli NOI che con la decommercializzazione degli introiti da bar sono esonerati dalla certificazione dei corrispettivi. Per di più, anche nell’eventuale esercizio commerciale, per effetto della scelta del regime forfetario della 398, sono esonerati da scontrino elettronico.
Pare che l’opzione NOI cominci a interessare. Ma a NOI non interessano i circoli/bar.
Tanto per non essere fraintesi: il bar del circolo non è un esercizio pubblico, non può essere aperto se nel Circolo non sono in atto iniziative a favore dei soci tesserati. La decommecializzazione è condizionata alla complementarietà della somministrazione, cioè deve essere “complementare” nel senso che completa il servizio svolto nei confronti dei soci tesserati. Vuol dire che se nel circolo non sono in atto iniziative, il bar deve essere chiuso.