Pillola #53
Come avevo promesso nella pillola #52, aggiungo alcune riflessioni, per buona parte delle quali utilizzo il capitolo nove del libro “L’umanizzazione di Dio” del teologo José Maria Castillo, andaluso, classe 1929, che ho incontrato tre volte, consumando insieme il pasto, in occasione delle sue ultime visite a Verona. Castillo è stato docente di teologia dogmatica alla facoltà di Granada, alla Gregoriana di Roma, all’università di Madrid, alla Pontificia di San Salvador, ed è autore di molte pubblicazioni. Su Internet troverete l’informazione che Castillo è stato allontanato dall’insegnamento nel 1988, dall’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, per le sue posizioni critiche verso la Chiesa. Nel 2018, trent’anni dopo, papa Francesco lo ha giustamente riabilitato. Bergoglio (il papa) e Castillo (il teologo) sono due esempi di Chiesa contempl-attiva; entrambi gesuiti, innamorati di Dio e appassionati dell’uomo.
Essenziale, per l’umanità, non è solo l’alimentazione, è anche essenziale la convivialità, cioè il mangiare condividendo lo stesso cibo alla stessa tavola, in compagnia.
Il mangiare abbraccia la vita intera, è alimento e forza non solo per lo stomaco e il sangue ma anche per lo spirito, per la necessità che tutti abbiamo di stare in compagnia, di ascoltare, di essere ascoltati. San Giovanni della Croce nel suo cantico spirituale n.15 ha lanciato un messaggio “è la cena che ristora e innamora”: significa che il tema del cibo ha qualcosa da dire anche in teologia.
Noi umani abbiamo diverse preoccupazioni. Tra queste: la salute e l’alimentazione. Se manca l’alimentazione il corpo si ammala, la salute scade, sopravviene la morte.
Nei Vangeli, in particolare nei sinottici (Marco, Matteo, Luca), insieme al problema della salute e alle guarigioni degli ammalati, il tema ricorrente è quello dei pranzi. E sorprende il fatto che Gesù con frequenza e insistenza si è interessato e preoccupato più di salute e alimentazione che di culto, liturgia, riti religiosi, e perfino della preghiera. Nei Vangeli i riferimenti al cibo e al mangiare insieme agli altri, sono ben 137: 28 in Matteo; 22 in Marco; 56 in Luca; 31 in Giovanni. Non solo per l’importanza che il mangiare ha per qualsiasi essere umano, ma per il fatto che mangiare in compagnia di altre persone ci si sente accompagnati e accolti.
L’insistenza dei Vangeli, quando parlano di alimentazione, intendono la condivisione della mensa.
Mangiando recuperiamo le nostre forze. E se il cibo viene condiviso con altri, comunichiamo tra di noi, rompiamo il nostro isolamento, la nostra solitudine e senza sapere né come né perché ci sentiamo più vicini agli altri; nell’intimità del pranzo o della cena cadono le barriere di distanza e d’incomunicabilità, diventiamo più trasparenti e in qualche modo ci fondiamo in una autentica comunione.
La condivisione e la convivialità, il pane che si spezza, che si spartisce in un pasto modesto, povero o in un banchetto regale, è il simbolo più universale e più profondo della nostra condizione umana. Succede a tutti di invitare qualcuno a pranzo o cena. Ci si invita tra parenti e amici, ma ci teniamo alla presenza di persone che riteniamo importanti. Un pranzo, sappiamo tutti, si presta a essere utilizzato per ottenere favori, vantaggi, interessi. “Colazione di lavoro”, “Pranzo d’affari”, “Cena politica”, sono modi di deformare uno dei simboli più universali e sacri che gli uomini hanno inventato per sentirsi uniti, alleviare le pene, condividere gioie, progetti, ideali, amicizie. Gesù non ha mai mangiato con i capi ufficiali della religione: sacerdoti, senatori, scribi. Il silenzio dei vangeli in questo argomento è eloquente: di questo non c’è alcuna traccia. Gesù non ha mai condiviso la tavola e la vita con l’aristocrazia religiosa o con il potere politico. Gesù condivideva i pasti con ogni tipo di persone, tranne che con coloro che detenevano il potere politico o religioso. Non ha escluso peccatori o pubblicani, per quanto fossero persone di pessima reputazione. Ha condiviso la tavola con donne; anzi, sappiamo di una situazione in cui Gesù, durante un pranzo, si è lasciato profumare, baciare e toccare da donne anche di cattiva fama, motivando proteste dai suoi e scandalo dai padroni di casa. Evidentemente non si sentiva legato da norme sociali e religiose che gli impedissero di condividere la tavola e la felicità con ogni tipo di persone e in tutte le situazioni immaginabili. Sappiamo anche che a un pranzo di nozze si diede da fare perché non mancasse il buon vino.
Giovanni Battista, cugino di Gesù, era un asceta che viveva nel deserto nutrendosi di cavallette e miele selvatico. Gesù è stato considerato un “mangione beone” amico di pubblicani e peccatori.
Nella parabola del “padre misericordioso”, riferita dall’evangelista Luca, più conosciuta come del “figlio prodigo”, il giorno in cui il figlio perduto tornò a casa, l’unica cosa che ha fatto quel padre è stato di vestirlo per la festa e organizzare un banchetto in grande stile, con musica e danze.
La parabola del grande banchetto, in Matteo e in Luca, esprime con chiarezza come nel grande banchetto del Regno di Dio non entrano gli invitati ufficiali, i preferiti del signore che organizza il banchetto, bensì i poveri e gli esclusi, i mendicanti, i vagabondi. Gli invitati non hanno accettato per badare ai loro affari, anteponendo interessi personali all’esperienza della mensa condivisa con altri.
Ci sono due modi di intendere la vita: pensare ai propri interessi o condividere la vita con altri, nel bene e nel male, nelle gioie e in difficoltà, dolori, povertà, carenze di ogni tipo.
C’è una bella differenza tra il donare qualche euro a qualcuno, perché mangi dove e come può, e il farlo accomodare alla propria tavola per condividere con lui la stessa energia di vita che sostiene entrambi. Soprattutto quando la persona che invitiamo non è un personaggio importante, un parente o un amico, ma uno qualsiasi, uno sconosciuto, un barbone, un vagabondo, un tossico, un ex carcerato, o addirittura uno sgradevole.
Un pasto condiviso non ha nulla di sacro o di religioso (ovviamente la Mensa Eucaristica appartiene a un diverso capitolo), ma appare evidente che Gesù ci sconcerta, perché ci apre a insospettabili cammini d’incontro con Dio. A una mia riserva sulla successione pressoché automatica tra rito e pasto, un parroco mi rispose che dopo la “mistica” viene la “mastica”. Chapeau!
A conclusione, dichiaro di non essere un “selvatico” come Giovanni Battista; ammetto di essere disturbato dalle foto mangerecce postate su l’Arena, ma solo perché offrono una immagine non del tutto vera sulle finalità istituzionali dell’Associazione NOI; e mi permetto una proposta provocatoria.
Se riuscite a mettere da parte alcune centinaia di euro, offrite un pranzo al mese aperto a tutti (non solo a tesserati), rendete pubblica la notizia, accogliete chiunque, assolutamente gratis, senza imporre quote o condizioni. Fatelo sapere, andate a dirlo a chi vive solo, a chi vive nel disagio, nella sofferenza, nella povertà. Offrite la disponibilità ad andare a prendere chi non ce la fa’ o si vergogna. Servite tutti alla stessa maniera, fate in modo che nessuno rimanga isolato, solo, appartato, dimenticato. Fate festa (pagate la SIAE). Se venissero il parroco, il sindaco, l’assessore, non offritegli i posti migliori, metteteli accanto ai dimenticati. Comportatevi come ha insegnato Gesù con il suo esempio. Dal minimo per esseri umani, il pasto, il mangiare, lo stare in buona compagnia con gli altri, Gesù ha rivelato chi è Dio e com’è Dio. Il Padre (il Dio di Gesù) è presente, si identifica e si fonde con ciò che è comune a tutti gli esseri umani; lo si incontra nella condivisione della vita e della gioia con gli altri. Talvolta è la semplice condivisione che genera gioia, anche senza esserne consapevoli.